RICAMARE L'ARIA: I MERLETTI DI BURANO

Le mani si muovono sicure, hanno ripetuto gli stessi gesti migliaia di volte. Le dita danzano con rapidità su quel filo sottilissimo che ora si tende e poi si allenta per trasformarsi in un minuscolo nodo fra migliaia. L’ago punge il disegno, trafigge la carta, fa capolino tra pollice e indice e poi  volteggia nell’aria per nascondersi nuovamente dopo aver tratteggiato astratte geometrie.

Gli occhi di Emma Vidal seguono vispi e attenti ogni passaggio: 95 anni, scricciolo di donna, dolce, lucidissima e da sempre senza occhiali, è la più anziana merlettaia di Burano, testimone vivente di un’arte/artigianalità acquisita da bambina e perpetuata tra alterne vicende fino ad oggi, quando al mestiere per vivere si è sostituita la purezza della passione.

Come lei, intere generazioni di ragazzine agli inizi Novecento, private dell’obbligo scolastico e forzatamente relegate alla dura vita domestica del tempo, si tramandarono il sapere materno dedicando la loro fanciullezza alla rinascita di un’arte che accompagnò nei secoli precedenti il lento declino della Repubblica di Venezia, presso cui trovò l’apice del suo sviluppo e del suo splendore per poi quasi scomparire.

L’iniziativa lungimirante di una nobile veneziana, la contessa Andriana Marcello, supportata dall’esperienza di Francesca Memo detta Cencia Scarpaiola, allora tra le ultime merlettaie dell’isola a possedere ancora il segreto del “punto in aria” o “punto Burano”, portò nel 1872 all’apertura  della Scuola del Merletto in quello che fu lo storico palazzetto del Podestà in piazza Galuppi, dal 1981 sede del Museo del Merletto. Istituto e opificio gestito dalle suore dell’isola che curavano poi anche la vendita dei prodotti finiti, la scuola nacque per recuperare e rilanciare la lavorazione del merletto sottraendola all’oblio. Vi lavorava gran parte delle donne di Burano che ricevevano una paga giornaliera godendo nel contempo, durante la stagione invernale, del calore del camino alimentato in continuazione dal ceppo che ciascuna portava, vantaggio indiscutibile in un’epoca in cui le case le case erano prive di riscaldamento e di illuminazione.

La bellezza e la raffinatezza delle lavorazioni, frutto di una straordinaria e peculiare difficoltà di esecuzione, sono state la fortuna e le ragioni del declino del merletto di Burano. Destinato da sempre ad abbellire i paramenti dell’alto clero o i vestiti e i corredi di biancheria di nobiltà e aristocrazia che potevano permettersi gli alti costi della manodopera, legati indissolubilmente ai tempi lunghissimi di realizzazione, il merletto di Burano è vittima delle implacabili leggi di mercato, incapace di reggere la concorrenza di lavorazioni simili e di altrettanta bellezza sebbene di non pari finezza ma più economiche perché frutto di procedimenti industriali o di più volgari imitazioni.

Se un tempo monasteri, conventi, orfanatrofi, pie opere di carità potevano sfruttare e garantire prestazioni a basso costo, ora intere giornate di lavorazione per realizzare una semplice rosellina o una farfalla rendono questi eccezionali lavori di manualità appannaggio di una ristretta elite di richiedenti.   

Perciò il “punto in aria”, così chiamato perché non viene realizzato su alcun tessuto di supporto ma vive di trama e ordito propri, rischia di dissolversi definitivamente e diversamente da quanto invece  successe – leggenda narra - alla schiuma dell’onda sollevata dal colpo di coda di una sirena che la fece solidificare e diventare velo nuziale per premiare la fedeltà di un marinaio di Burano verso la propria amata. Da allora le ragazze dell’isola tentarono di riprodurne complessità e bellezza con ago e filo, dando così origine per vanitosa imitazione a ciò che divenne nei secoli successivi produzione femminile d’eccellenza nella laguna veneziana. Il legame con il mare d’altra parte sembra esserci davvero vista la similitudine di punti e intrecci con le tecniche di fabbricazione delle reti da pesca cui erano dedite le stesse mogli dei pescatori.

Persino la Francia del Re Sole, affascinato da tanta delicata eleganza tentò – senza riuscirvi, che le balle ancor gli girano (Paolo Conte, “Bartali”) – un colpo di mano “insediando” in Normandia un nucleo di maestranze di Burano con la speranza di far nascere una scuola nazionale ed economizzare sui propri acquisti.

Lavori di preziosissima creatività costituiscono oggi la collezione esposta presso il rigenerato Museo del Merletto ( http://museomerletto.visitmuve.it ), ammirabile attraverso un percorso espositivo articolato cronologicamente e tematicamente, dove si possono ammirare oltre duecento esemplari di rara bellezza della tradizione veneziana e una ricca documentazione storica fatta di “modellari”, disegni, fotografie, testimonianze iconografiche: un viaggio attraverso l’evoluzione di un mestiere antico nato dal connubio di strumenti poveri, quali sono “ago e filo”, reso nobile dall’abilità delle mani sapienti delle maestre merlettaie che hanno creato veri e propri capolavori e che è possibile vedere tutt’ora all’opera durante gli orari di apertura del museo.

Ma è tutt’altro che insolito nelle serate della bella stagione, passeggiando tra calli e campielli di Burano dopo che le folle di turisti hanno lasciato l’isola , imbattersi in capannelli di donne sedute intente a ricamare, perse nella conversazione. Forse hanno coscienza del tesoro di cui sono depositarie e che si sono tramandate di madre in figlia, di generazione in generazione. E continueranno a farlo con l’amara consapevolezza che quest’arte probabilmente si spegnerà con loro perché i ritmi vertiginosi dei nostri tempi non consentono di affidare a nessuno questa preziosa eredità, ma con la serena convinzione di aver regalato al mondo pillole di bellezza impagabili.